SUMAK KAWSAY: LA PIENEZZA DEL VIVERE

Un sueño me dijo:

El secreto de conocerte te llegará cuando te hartes de sufrir… necesitas encontrar el tesoro escondido que está dentro de ti.”

Volvía a preguntar: ¿Cuál es el tesoro?

Un maestro me dijo: “El Amor”.

Victor L. Durand

(Los escritos de un Don Nadie perdido entre el Amor, la Libertad y la Locura)

Nel 2014 ho visitato il Perù e, a Cusco, sua capitale spirituale, ho avuto la fortuna di essere ospitata dagli amici Victor Lopez Durand, sciamano e docente universitario, e da Imelda Vargas Rodrigo, professoressa e sua collaboratrice. Attraverso i loro racconti e insegnamenti ho potuto iniziare a conoscere la cosmologia e la spiritualità andine, alcune pratiche di cura tradizionali, alcuni concetti fondanti il sapere e le conoscenze degli antichi popoli quechua e aymara.

Tra questi spicca, per me, il cosiddetto buen vivir, dal 2008 presente anche nella costituzione ecuadoriana, come guida pratica di attuazione di prassi politiche.

Il buen vivir è la concezione della vita (la “cosmovisione”) propria del pensiero indigeno andino. L’espressione spagnola é la traduzione del sumak kawsay in lingua quechua o del sumak camana in lingua aymara.

Nei diversi paesi dell’America Latina che conservano gli antichi saperi andini, il concetto del buen vivir assume una diversità di sfumature di significato che non sono trascurabili, ma che non interferiscono con i valori comuni che animano il suo insegnamento: la sacralità della Pachamama, la terra, il rispetto profondo per la natura, il forte legame comunitario, la reciprocità e la complementarietà delle relazioni…

Non è semplice tradurre queste parole, ma in generale si può dire che sumak significa ciò che è ideale, bello, buono, è la realizzazione; e kawsay è la vita, con riferimento a una vita degna, in armonia ed equilibrio con l’universo e l’essere umano. In sintesi il sumak kawsay indica la pienezza della vita, nei tre livelli materiale, intellettuale e spirituale. Significa vivere intensamente, non in maniera mediocre. Detto con le parole di Victor, significa “vivir bien con tigo mismo, con la naturaleza y con la sociedad”. Molti studiosi (antropologi, filosofi, ma anche economisti, agronomi, politici…) guardano al buen vivir come a una nuova opportunità per l’umanità, con nuovi paradigmi, contrari al senso di marcia verso cui spinge genericamente il pensiero della “società occidentale” ma adeguati alla situazione che stiamo vivendo: senso del limite e della proporzione, recupero della dimensione comunitaria, salvaguardia delle diversità, riconduzione dell’economia al proprio ruolo…

Nella dimensione più piccola di ciascuno di noi, ritengo che conoscere e imparare a seguire i 7 principi attraverso cui Victor spiega il sumak kawsay, ci aiuti a ritrovare il nostro centro e la connessione con il nostro ambiente, a stabilire e ricucire relazioni autentiche, a lenire qualche ferita del nostro cuore

Di seguito, ho trascritto gli appunti presi direttamente dall’intervento di Victor e Imelda ad un incontro tenuto durante il loro ultimo viaggio in Italia, il mese scorso… buona lettura!

Paola

I 7 PRINCIPI DEL SUMAK KAWSAY O SUMAK CAMANA

1. ARMONIA

L’armonia di un luogo comincia dal suo padrone.

Molte persone oggi non sono in armonia: i problemi del passato turbano il presente, e nel presente si preoccupano x il futuro. Prestiamo troppa attenzione a cose senza valore e ci perdiamo la meraviglia che c’è attorno. O a volte perdiamo di vista le piccole cose importanti perché siamo distratti. Armonia è stare bene con sé, con le piccole cose importanti e il creato, riuscendo ad avere attenzione x tutto.

Non possiamo dare ciò che non abbiamo. Ci sono giorni neri. Ci alziamo senza armonia. L’armonia è un percorso. È crescita spirituale.

2. COMPLEMENTARIETÀ

La complementarietà è dentro di noi: il principio maschile e il principio femminile.

Essere pareja è essere diversi e complementari, è trovare la complementarietà nella diversa forma.

Spesso noi cerchiamo qualcuno che ci capisca ma non sappiamo capire gli altri.

In una squadra di calcio tutti hanno il proprio ruolo: sono complementari.

Nel nostro lavoro dobbiamo portare il principio della complementarietà: dobbiamo dare il meglio e fare in modo che l’altro possa dare il meglio.

Il segreto per non lavorare è che ci piaccia il nostro lavoro. Essere nel proprio posto. “El trabajo debe ser como una oracion.”


3. RELAZIONE

Relazione con noi stessi, con le persone che abbiamo attorno, con la natura. I tre aspetti sono collegati… Ai bambini tutto li rallegra. La società occidentale abitua a pensare in termini di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Questo porta al conflitto. Nella cultura andina invece non c’è bene e male. C’è bene o più bene. Non c’è una verità. Ognuno di noi è una verità. La madre terra non dice questo è bene questo è male. Se piantiamo patate ci dà patate. Se piantiamo marijuana ci dà marijuana. La mia idea non è assoluto.


4. CICLICITÀ
Occorre accettare che si chiudano i cicli. Spesso le persone non chiudono i cicli. Tutti dobbiamo morire, ma nessuno vuole diventare vecchio. Da bambini giocavamo tanto. Ci sono adulti che non hanno ancora chiuso il ciclo dell’infanzia.

A volte bisogna chiudere il libro ma non solo… anche la biblioteca!

Parti Imelda, ma parti completa. Prendi anche la tua anima. Voglio chiudere il ciclo, non lascio il mio spirito nel luogo da cui parto.”

Essere come il sole che tutti i giorni nasce e muore. Chiudere i cicli, non avere cose pendenti, portare con sé il proprio spirito. Chiudere il ciclo della giornata quando il sole tramonta.

Il sole nasce anche se gli uomini lo danno x scontato.

Se porto la mia casa al lavoro, il focolare si perde lì perché è troppo piccolo. Impariamo a chiudere i cicli. Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno. Chiudiamo le relazioni. Se non chiudo non starò bene nella relazione successiva.


5. CORRISPONDENZA

Restituire ciò che ho ricevuto. Anche in altre forme con altre persone. L’impegno.

Desidero che il mio sposo mi desideri nello stesso modo in cui lo desidero io. Questo a volte non succede. Ma io continuo a dare il meglio di me senza aspettarmi altrettanto. Dò cento, voglio cento. Ma non funziona così. L’amore dato ritorna, magari al di fuori delle nostre aspettative.

Ognuno dà quello che può. Per avere pace, devo avere pace da dare. Lo stesso l’amore. Ad un melo non possiamo chiedere di dare pere. Un pero non si chiede “perché non dò mele’”.


6. RECIPROCITÀ

Saper dare e saper ricevere. Dare non è uguale a ricevere. Esistono 3 tipi di reciprocità: da persona a persona (Ayni), da uomo a comunità (Minka), da uomo a stato (Mita). Il Tawantinsuyo (l’impero Inca) era guidato da questo precetto: dare sempre il meglio. Io oggi ho bisogno, tu lavori x me. Domani faremo viceversa, con la stessa passione. L’importante è restituire l’entusiasmo.


7. DUALITÀ

L’uomo vive nella dualità (notte e giorno, luce e oscurità, silenzio e rumore, yin e yang).

Sei malato? Ammalati bene, così poi guarisci bene. Sempre ci saranno luce e oscurità. X la scienza l’oscurità è assenza di luce. Se un giorno dobbiamo stare nel buio, stiamoci senza disperarci.

Occorre passare x la malattia x stare bene. Il cavallo ce la mette tutta durante la gara di corsa. Non gareggia con gli altri ma con sé stesso. Non sa alla fine se ha vinto o perso e la sera prima non era nervoso.

Impara ad ascoltare il tuo diavolo: ti dice dove non andare. Questa è dualità. Dobbiamo conoscere sia la povertà che la ricchezza, sia la salute che la malattia. Accettare il buio, attraversarlo. La sofferenza dà la lezione. Muori, resuscita, porta la tua croce.

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